La piccola pesca

Paranza in navigazione in una foto degli anni ’30. A Francesco Feola

Per la piccola pesca si usavano principalmente reti da posta o da lancio, nasse e retini, lenze o sistemi di cattura a bilanciere, ma esistevano pesche, come quella delle cozze o dei cannolicchi, nelle quali si operava solo con le mani e grazie alla maestria di abili pescatori che si immergevano senza le moderne strumentazioni subacquee.
Fra gli attrezzi caratteristici c’era la sciàbica (sciàbbeche), rete a strascico tirata direttamente a riva con l’aiuto degli sciabbecùtte, ragazzotti o anziani che aiutavano per riportare a casa qualche pesce.
Alcuni tipi di pesca da riva sono ancora oggi praticati, anche se quasi esclusivamente per diletto e per autoconsumo.

La piccola pesca veniva praticata direttamente da riva o nelle acque strettamente costiere mediante battelli e lancette, a remi o a vela; a differenza della pesca in alto mare non richiedeva ingenti investimenti, grandi imbarcazioni o equipaggi numerosi. Si trattava di un’attività economica marginale con prevalenti finalità di sostentamento familiare; spesso veniva svolta come occupazione accessoria giornaliera poiché era comune che i pescatori possedessero porzioni di terra o svolgessero altri mestieri.
Svolta per tutto l’anno, aveva però varianti stagionali. In inverno era rivolta alle specie stanziali (cefali, mènole, dentici, gronchi, orate, canocchie, seppie); in estate invece le catture erano mirate soprattutto alle specie pelagiche migratrici che passavano in grandi branchi vicino alla riva (sardine, acciughe, aguglie, sgombri). L’abbondanza di pesce in estate attirava i pescatori occasionali che, durante la pausa stagionale dai lavori agricoli, assistevano i professionisti nel salpare le reti e si dedicavano alla piccola pesca da riva.

Pesca con la sciabica in una cartolina di Castellammare Adriatico del 1921. Arch. CARSA Edizioni Pesca con la sciabica in una cartolina di Pescara degli anni ’20. Arch. CARSA Edizioni
Coppia di paranze in una foto del 1923. Arch. Francesco Feola L’equipaggio di una paranza. Arch. Francesco Feola

Era dotata anche di due-tre remi per consentire di spostarsi in cerca del vento in caso di bonaccia e agevolare le manovre di uscita e di rientro a riva. Priva di deriva come nella paranza, impiegava un timone molto grande e robusto, manovrato dalla coperta di poppa attraverso una barra altrettanto resistente. In considerazione della particolare conformazione dei fondali e dei litorali delle nostre zone lo scafo e la carena erano piatti, anche per agevolare il ritiro dello scafo a terra. Per tirare a riva queste imbarcazioni – e ovviamente per sospingerle a mare – si usavano le cosiddette palancole, piccole travi in legno cosparse di grasso su cui la chiglia piatta della barca scivolava facilmente.

Alaggio di una piccola paranza in una cartolina anni ’20. Arch. Francesco Feola Coppia di paranze a Vasto marina. Arch. Francesco Feola

Battelli

Piccole imbarcazioni in legno di varia foggia, fra i 3 ed i 6 metri circa di lunghezza, queste barche erano sia a remi che dotate di una sola vela e potevano portare solo due/tre persone; generalmente venivano impiegate per portare i viveri alle paranze impegnate nella zona di pesca e per riportare il pescato a riva per la vendita, perché più maneggevoli e veloci da tirare in secco. Nella buona stagione erano utilizzate anche per la pesca sotto costa con ami, nasse e reti da posta.

La "lancetta"

Sorella minore della paranza la lancetta era la barca per la piccola pesca più diffusa e caratteristica delle coste del medio Adriatico dalla metà dell’Ottocento fin verso gli anni Settanta del secolo scorso; di dimensioni inferiori rispetto alla prima (non raggiungeva mai i 10 metri) era dotata di un solo albero con una grande vela latina e fiocco.
Praticava una pesca giornaliera ravvicinata con un equipaggio che non superava i 4 o 5 marinai, di cui quasi sempre uno era il mozzo in età minorile, cioè il muré, oltre al parone proprietario del mezzo.

Paranze in secca, con reti ad asciugare, in una foto degli anni ’20. Arch. Francesco Feola Paranze in secca, con reti ad asciugare, in una foto degli anni ’20. Arch. Francesco Feola

Nella fase di “rimessaggio”, il sistema consisteva nel togliere man a mano le traversine spostando l’ultima dal lato del mare verso la riva. Nel varo era spesso sufficiente la forza di un solo uomo che appoggiava la schiena sulla poppa per spingere lo scafo in acqua. Come per le più grandi paranze anche le lancette si potevano riconoscere dai colori vivaci della vela e dai simboli disegnati su di essa usando terre d’ocra, infuso di corteccia di pino e un po’ d’olio di lino cotto.

Rientro dalla pesca a Castellammare Adriatico in una foto anni ’30. Arch. Francesco Feola
Modalità tradizionali di pesca a strascico. Collezione Fanesi Sistema di pesca con rete da posta o da imbrocco. Da chioggia.biologia.unipd.it

La sciàbbeche

Antico metodo di pesca effettuato a strascico dalla riva la rete, lunga diverse decine di metri, veniva stesa in mare con un battello a remi a formare un semicerchio e doveva essere tirata a terra da due squadre di pescatori che chiudevano progressivamente la sacca ai lati imprigionando i pesci; partecipavano a questa specie di tiro alla fune non solo marenare ma anche aiutanti provenienti dalla comunità costiera, in cambio di una piccola parte del pescato:“Chi se 'mbonne la celle, j'attocche la mujelle” (Chi si bagna l'inguine, si guadagnerà il cefalo).
Questa pratica salvò intere famiglie dalla fame durante i periodi di guerra, quando era vietato o impossibile uscire con le barche al largo e quasi tutti gli uomini validi erano imbarcati nella Marina Militare. Vecchi pescatori, muré adolescenti, mamme e giovani spose furono tutti impiegati per la pesca con la sciàbbeche, l’unica autorizzata.

Pesca con la sciabica in una cartolina di Vasto dei primi anni del Novecento. Arch. CARSA Edizioni

formati da tre lunghe reti unite insieme, i tramagli venivano dotati di una lima di sugheri nel margine superiore e una lima di piombi nella parte inferiore. La rete centrale aveva le maglie più piccole di lino finissimo e non doveva essere tesa mentre le reti esterne erano formate da filo di canapa grosso e avevano maglie ampie. Quando erano poste in acqua le tre reti si dividevano: i pesci più grossi entravano nell’occhio della prima rete esterna e s’impigliavano nel sacco interno, spingendolo fuori nell’occhio della terza rete esterna ed intrappolando il pesce. Queste reti sono utilizzate ancora oggi dai pescatori per la cattura delle specie di fondo.

Le reti

Ogni rete era concepita e dimensionata per la cattura di una particolare specie ittica mediante differenti tecniche di pesca. Per la piccola pesca venivano utilizzate alcune tipologie di reti a strascico, le reti da posta o “da imbrocco” e le reti da lancio. La maggior parte delle reti era realizzata con la canapa, più raramente di lino, e venivano tinte con decotti di corteccia resinosa di pino per renderle più resistenti e meno visibili ai pesci.

Pesca con la sciabica in una foto anni ’50. Foto Vincenzo Falsaperla Mancinelli

Reti da posta o da “imbrocco”

Di forma generalmente rettangolare le reti “da imbrocco” erano tenute in mare verticalmente da piombi e sugheri e lasciate ferme per un certo tempo, aspettando che il pesce vi s’impigliasse. Sistemate in modo da contrapporle ai movimenti migratori del pesce in funzione delle correnti dominanti, venivano solitamente calate a poca distanza dalla spiaggia da piccoli battelli a remi; si usciva al tramonto per poi ritirare le reti prima dell’alba, al fine di catturare i pesci che nelle ore notturne vanno in cerca di cibo o si avvicinano alla costa per deporre le uova. Le reti da posta, di differente grandezza e ampiezza della maglia, si distinguevano in reti di superficie o di fondo, a seconda del tipo di preda che si voleva pescare. Fra gli attrezzi da posta segnaliamo i “tramagli”, strumenti molto versatili e adatti a catturare pesci di dimensioni differenti, anche se esistevano naturalmente reti diverse a seconda della specie pescata;

Schema della tecnica di pesca a tremaglio. Da ostiaedintorni.it

Lu schiazze

Lo schiazzo o rezzaglio era una tipica rete a gettata adoperata da un’unica persona o dalla riva o dalla barca, comunque a basse profondità; aveva una forma circolare di circa 5 metri di diametro sui cui lati erano cuciti molti piombi di piccole dimensioni. Veniva gettato dall’alto con un movimento delle braccia che faceva aprire a forma di cerchio la rete durante il lancio, coprendo l’area circostante. Si usava principalmente per catturare salpe e cefali che durante l’alta marea si avvicinavano alla costa per nutrirsi di alghe.

Il lancio dello schiazzo. Da web

Altri attrezzi

Accanto alle reti vere e proprie si utilizzavano molti altri attrezzi per la pesca, fabbricati dai pescatori stessi o dalle loro famiglie.

La pesca con le nasse

Le nasse erano delle specie di gabbie costruite con giunchi intrecciati e altri materiali con un’apertura che permetteva l’entrata della preda attratta da un’esca ma non la sua uscita, grazie ad una strozzatura tronco-conica. Una volta, prima dell’invenzione della rete, qualsiasi tipo di pesca era effettuata con le nasse che venivano costruite a seconda del tipo di pesca da effettuare. Le nasse venivano impiegate a gruppi di due o più di due; venivano calate sul fondo unite ad una grossa pietra a 8/10 metri di profondità, mentre una cima le collegava alla superficie con un galleggiante. Il ritiro delle nasse avveniva giornalmente, a volte anche dopo un paio di giorni. Nei nostri mari le nasse servivano principalmente per la pesca delle seppie o stagionalmente negli estuari fluviali per la pesca delle anguille. Il cerchietto, un particolare tipo di nassa fatto con due cerchi concentrici di metallo tenuti da una rete, era invece utilizzato per la pesca dei bummalitte (lumachine di mare) usando come esche le foglie di alloro o di murtelle (mirto e piante affini) dove i molluschi cercavano rifugio: la mortella cresceva abbondante nelle pinete del litorale.

Raccoglitori di telline in una cartolina del 1915 di Basilio Cascella. Arch. CARSA Edizioni

Lu férre

Le fiocine, inserite su un lungo bastone, erano impiegate durante le notti con mare calmo per trafiggere il pesce o i crostacei che venivano richiamati dal fuoco di un fanale posto sulla barca. Molto spesso venivano anche utilizzate nelle zone rocciose per trafiggere le seppie (seccie) o piccoli pesci dagli scogli sul pelo dell’acqua o costruendo piccole zattere di canne (lu cannizze).

Trabocco Trave sulla costa teatina. Foto di Luca Zappacosta, Arch. CARSA Edizioni

La togna

La pesca con l’amo prevedeva l’uso di diverse lenze ed esche a seconda della specie pescata. Nella togna il filo era di canapa o di lino più sottile. All’estremità inferiore si fissava uno o più piombi e gli ami venivano legati a pezzi di filo molto sottili posizionati a una certa distanza l’uno dall’altro. La pesca poteva essere fatta dalla riva per pescare mènole, spigole, occhiate, o dalla barca in movimento soprattutto per la pesca degli sgombri. Questo particolare tipo di pesca era praticata dalla poppa delle lancette o delle stesse paranze, di solito quando il vento era troppo debole per trainare le reti, con due o più lenze fissate ai màngoli (specie di bitte a pomo).

Tipologie di Nasse. Dal web

Lu ciucculare

Attrezzo metallico utilizzato per pescare le vongole (paparazze) e le telline (ciucculette o zzirezzéire). Questa pesca poteva avvenire direttamente dalla riva con la bassa marea, in questo caso il rastrello veniva collegato ad un lungo bastone, oppure sotto costa con un battello a remi: si gettava l’ancora e, dopo essersi allontanati, un uomo da poppa calava lu ciucculare tenendolo piantato nella sabbia a raschiare il fondo mentre a prua un altro marenare tirava lentamente la cima per riavvicinarsi all’ancora che faceva da perno.

Pesca delle vongole. Arch. Museo delle Genti d’Abruzzo

Lungo la scogliera

Tipica della costa teatina rocciosa era la raccolta dei granchi “pelose” o delle granseole, dei ricci di mare, delle cozze e delle padelle o patelle. In agosto si raccoglievano anche le alghe coralline per le loro diverse proprietà curative.

GENTI DI MARE

Tradizioni e patrimonio culturale delle comunità di pescatori in Abruzzo

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